Oggetto: Parere riguardo alla valutabilità dei titoli maturati presso la ASL dal personale interessato ad accedere ai ruoli provinciali relativi ai profili professionali del personale “ATA”.
In riferimento all’oggetto, mi si chiede di esprimere un parere sulla valutabilità dei titoli maturati dal personale interessato ad accedere ai ruoli provinciali relativi ai profili professionali del personale “ATA”, alla luce della FAQ del MIUR con la quale quest’ultimo, in risposta al quesito su “cosa si intende con l’espressione <Amministrazioni Statali> ed >Enti Locali> contenuta nelle tabelle di valutazione dei titoli allegate al DM 640 del 2017”, ha precisato che “Per amministrazioni statali si intendono le amministrazioni centrali di cui all’elenco pubblicato annualmente a cura dell’ISTAT nella Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell’art-1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n.196 e ss.mm.ii.. Si allega l’elenco . Per enti locali, invece, si intendono, ai sensi dell’art.2, comma 1, del D.Lgs.267 del 2000, i comuni, le provincie, le città metropolitane, le comunità montane, le comunità isolane e le unioni dei comuni”.
Da ciò l’interpretazione prospettata, da talune amministrazione procedenti, di voler escludere, dal predetto elenco, le “Regioni” e/o altri enti pubblici, incluse le Aziende Sanitarie Locali, circoscrivendo l’ambito operativo delle presupposte previsioni, alle sole amministrazioni centrali o alle sole amministrazioni locali, ovvero interpretando sia le prime che queste ultime in senso stretto, con conseguente non valutabilità dei titoli maturati/conseguiti – da parte del personale interessato all’accesso alle predette graduatorie- presso amministrazione pubbliche regionali o sanitarie.
Ciò posto, si ritiene, che la risposta al predetto quesito non possa che procedere attraverso una serie di considerazioni, di ordine formale e sostanziale, di seguito meglio esplicitate.
1.- In particolare, quanto al profilo formale, va circoscritta la portata e gli effetti della citata nota ministeriale la quale, anche e soprattutto con riguardo alla classificazione degli enti pubblici (ovvero, mutatis mutandis, alla valutabilità e/o equipollenza dei titoli conseguiti e/o valutabili presso gli stessi), non può non dispiegare natura strettamente interpretativa e non già integrativa del vigente quadro normativo.
In tal senso, anche in applicazione del più comune principio di cd. “gerarchia delle fonti”, è da ritenere che tale comunicazione non possa stravolgere e/o alterare gli attuali assetti normativi di rango legislativo e/o, addirittura, costituzionale (art.5 Cost.), attribuendo e/o disconoscendo la natura pubblica di taluni enti (Regioni e le strutture pubbliche ad essa riconducibili) e/o, con essi (ovvero in forza di tale natura soggettiva e non già del valore e/o della portata oggettiva del titolo), l’equiparabilità e/o la valutabilità dei titoli maturati dai dipendenti presso di essi.
Dalla natura interpretativa (e non già integrativa) della FAC consegue:
a.– la natura esplicativa (e tutt’altro che tassativa) di quanto dalla stessa chiarito (con la conseguenza che, anche il riferimento agli enti pubblici suscettibili di rilascio di titoli valutabili, non risulta ascrivibile ad un numero cd. “chiuso”, ma semmai ad una esplicazione prospettata dal Ministero ma certamente non esaustiva);
b.- la necessità di un’interpretazione del contenuto della stessa pro-legem, ovvero in senso conforme ai superiori parametri normativi (appunto legislativi, di rango anche costituzionale), evitando ingiustificate forme discriminatorie e/o disparità di trattamento.
2. Ciò posto, alla luce di tali comuni principi e/o parametri, è da ritenere non soltanto che non trovi alcuna ragione l’esclusione dal predetto elenco degli enti regionali (o di altri enti equipollenti espressamente e formalmente parificati dalla legge); quanto soprattutto che tale esclusione, ove fondata sulla natura soggettiva dell’ente e non già sulla tipologia oggettiva del titolo di servizio maturato, dia luogo ad un’evidente ed inequivoca disparità di trattamento, dunque illegittima sotto più profili.
Innanzitutto, sul presupposto che nel concetto di “autonomie locali”, riconosciute e promosse dall’art.5 Cost., rientrano (art.114 Cost.), in senso lato, ovvero nella più ampia accezione voluta dalla Costituzione, sia le Regione, sia le Provincie, sia i Comuni (di cui ali successivi artt.115, 116 117, 118 e 119), con la conseguenza che non ha alcun senso logico-giuridico, escludere, dal novero dei titoli valutabili nell’ambito di una procedura di accesso ad una graduatoria concorsuale, i titoli di servizio maturati presso un ente pubblico regionale/locale, per poi includere analogo titolo maturato presso altro ente statale, comunale e/o provinciale.
Inoltre, sul presupposto che, lo stesso Decreto legislativo – 30/03/2001, n.165 (Gazzetta Uff. 09/05/2001, n.106), contenente “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, nel disciplinare, nello specifico, la materia del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, proprio al fine (art.1) di “a) accrescere l’efficienza delle amministrazioni…b)… c) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni,… garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori nonché l’assenza di qualunque forma di discriminazione” ha ritenuto di precisare, al successivo comma 2, che “2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN)…”.
In tal senso, e proprio sul presupposto di tale equipollenza, il successivo art.30 del D.Lgs.n.165/2001, nel disciplinare il “Passaggio diretto di personale tra amministrazioni diverse” (Art. 33 del d.Igs n. 29 del 1993, come sostituito prima dall’art. 13 del d.lgs n. 470 del 1993 e poi dall’art. 18 del d.lgs n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall’art. 20, comma 2 della legge n. 488 del 1999) ha, addirittura, previsto, al primo comma, che “1. Le amministrazioni possono ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti di cui all’ articolo 2, comma 2, appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, previo assenso dell’amministrazione di appartenenza.”, ed, al secondo comma, che “2. Nell’ambito dei rapporti di lavoro di cui all’articolo 2, comma 2, i dipendenti possono essere trasferiti all’interno della stessa amministrazione o, previo accordo tra le amministrazioni interessate, in altra amministrazione”, con ciò stesso equiparando la qualifica del personale ed il servizio prestato dai dipendenti presso talune di tali amministrazioni (comuni, provincie e stato), alla qualifica ed al servizio prestato o da prestare presso l’altra amministrazione, incluse quelle regionali e sanitarie.
E’ evidente che rispetto a tali principi di ordine generale, oltremodo chiari e tassativi, non sono ammissibili eventuali ed ingiustificate discriminazioni (in tal senso, l’art.1 del citato D.Lsg.n.165/2001, dopo avere previsto che “1. Le disposizioni del presente decreto disciplinano l’organizzazione degli uffici e i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, tenuto conto delle autonomie locali e di quelle delle regioni e delle province autonome, nel rispetto dell’articolo 97 comma primo, della Costituzione ”, ha infatti aggiunto che “3. Le disposizioni del presente decreto costituiscono principi fondamentali al fine di realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori nonché l’assenza di qualunque forma di discriminazione e di violenza morale o psichica 1 …”.
Con la conseguenza che un’interpretazione restrittiva quale quella prospettata al fine di escludere il sevizio prestato, presso la Regione e/o presso la ASL, da taluni dipendenti interessati all’accesso alla graduatoria in questione, includendo solo l’analogo servizio prestato presso gli enti locali (Comuni e Provincie) o presso gli enti centrali, contravverrebbe chiaramente a tali principi, violando l’art.97 Cost., ovvero i principi di buon andamento e imparzialità, ovvero introducendo una non giustificata “disparità di trattamento” violativa e/o comunque elusiva di quanto disposto dai principi costitutuzionali, nonchè dalle norme legislative di cui ai citati artt.1, 2 e 30 del D.Lsg.n.165/2001, che costituiscono, non a caso, principi fondamentali, inderogabili anche per le regioni.
3. A ciò aggiungasi che la scelta restrittiva prospettata da talune amministrazioni procedenti, nel senso di escludere dal novero dei titoli valutabili quelli maturati da taluni candidati presso altri enti pubblici anche autonomi (nel caso di specie da CCIAA e/o presso Aziende Ospedaliere), è già stata cassata, sulla base di evidenti profili discriminatori, da numerosi tribunali (Giudice del lavoro del Tribunale Civile di Torino, n.5924 d/2017 del 16.10.2017 e Tribunale di Monza – sentenza n.1145/2015) chiamati a pronunziarsi proprio a tale specifico riguardo.
In particolare, soprattutto in tale ultima pronuncia (Tribunale di Monza – sentenza n.1145/2015), condivisibile nella parte in cui fa applicazione di evidenti principi e norme di rango legislativo e costituzionale, il giudice del lavoro ha precisato che mentre “nel nostro ordinamento non esiste una definizione predeterminata per legge di amministrazione dello stato”, “il TU del pubblico impiego decreto legislativo n.165 del 2001 stabilisce infatti che ai fini della disciplina del rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche le amministrazioni dello stato coincidono integralmente con le amministrazioni pubbliche ed all’interno della categoria delle amministrazioni dello Stato, sono comprese le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale”, con la conseguenza che “ai fini del punteggio da attribuire alla ricorrente, ai sensi del DM 717 del 2014 (identico a quello in questione) debbono essere considerate anche le attività lavorative svolte presso le ASL e gli enti del Servizio sanitario nazionale”, posto che “tali enti, infatti, sono parte della pubblica amministrazione in senso lato”; posto che “tale soluzione interpretativa è conforme alla ratio della stesa legge che richiama il servizio prestato alle dirette dipendenze di amministrazioni statali, nei patronati scolastici o nei consorzi per l’istruzione tecnica” e posto che “detta norma, infatti, è stata introdotta al fine di riconoscere un punteggio e agevolare chi ha già dato prova di avere svolto attività lavorativa per la pubblica amministrazione”: in breve, “la norma pertanto deve essere interpretata in senso ampio, considerando l’espressione amministrazione statale in senso lato e quindi relativa al concetto di pubblica amministrazione”, ovvero “in senso atecnico volendo fare riferimento al lavoro prestato presso una pubblica amministrazione (come detto ASL…”, tanto più che “la posizione di collaboratore scolastico non necessita di particolari qualifiche e pertanto non avrebbe senso limitare la valutazione del servizio svolto solo a particolari categorie della pubblica amministrazione stessa”.
4. Con la conseguenza che, anche alla luce dei più comuni principi interpretativi fatti propri dal giudice del lavoro, la soluzione restrittiva prospettata non appare per nulla condivisibile, ma foriera di inutili e dispendiosi contenziosi, fonte di danno anche e non soltanto erariali per l’amministrazione, alla luce dei maggiori esborsi cui la stessa darebbe luogo e del concreto e probabile rischio di soccombenza (confermato dalle pronunce di cu sopra), per la P.A., determinando un nocumento alla finanza pubblica, sia sotto forma di spese di giudizio, sia sotto forma di duplicazione di pagamento (stante il concreto rischio di condanna al pagamento del danno connesso al servizio non pretestato dagli interessati titolati, illegittimamente pretermessi, in attesa della pronuncia giurisdizionale, per effetto del possibile accoglimento della stessa alla luce dei citati precedenti).
Il tutto con evidente violazione, anche e soprattutto, dei principi di economicità ed efficienza di cui all’art.1 della l.n.241/90.
5. Peraltro, la predetta interpretazione restrittiva, così come prospettata, si pone in contrasto anche con i principi di più ampia partecipazione volti ad includere e non anche ad escludere, in ambito concorsuale, in caso di dubbio interpretativo, la valutazione dei titoli di accesso a procedure selettive/comparative, e ciò al fine di garantire comunque la più ampia partecipazione dei candidati e/o la scelta del migliore, a salvaguardia degli interessi non soltanto dei soggetti privati direttamente interessati (ovvero di principi non ingiustamente discriminatori) quanto, soprattutto, dell’interesse pubblico perseguito, (ovvero ai tutela dei principi di buon andamento di cui al citato art.97 Cost e dal citato art.1 della l.n.241/90).
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Sulla base di quanto sopra, nel ribadire la propria disponibilità ad eventuali ulteriori chiarimenti ed approfondimenti, si prospettata la disponibilità dello studio scrivente a patrocinare un’eventuale vertenza per il caso in cui le amministrazioni competenti escludano, dalla valutazione dei titoli, quelli maturati presso enti regionali e/o ASL con ciò pretermettendo gli interessati dall’accesso alla graduatoria e/o dall’assegnazione, all’interno della stessa, di posizioni utili all’assegnazione di contratti.
Campobasso, 10.3.2018.
Avv. Giuseppe Ruta